picavasnormandy: (jimothy)
pica ([personal profile] picavasnormandy) wrote2019-02-14 03:21 pm

[D&D OC] La notte prima

Fandom: Originale (campagna di D&D)
Personaggi: Hoggart Moreau, Azar Klopas, Ravi Zdravko
Rating: safe
Note: @ chibi, nuki e talpy NON LEGGETE PLS KISSINI STELLARI XOXO

Cow-t: settimana 1, M1 (Tensione)


 
La porta si trascina lenta alle spalle di Hoggart, chiudendosi con un rumore secco che rimane distante alle sue orecchie. Sospira, deglutisce a fatica cercando di non badare al nodo che gli si è aggrovigliato in gola mentre fra le dita stringe i fogli su cui sono dettagliati i piani della rivolta – documenti che raccontano passo per passo un destino che ha forgiato assieme ad altri centinaia come lui, reietti, arrabbiati o semplicemente bisognosi di una giustizia che non ha mai avuto spazio fra le strade di questa città.  
 
Solleva gli occhi per cercare qualcuno – chiunque. È la notte prima della rivolta e La Folle è deserta, immersa in un silenzio surreale.  
 
Con il cuore impazzito fra la gola e il petto, la mandibola serrata e i pugni sbiancati per non soccombere ad emozioni che ancora stenta a voler accettare, Hoggart ha corso fino a qui da un luogo in cui sa di non poter più tornare – da un posto che da domani non avrà più il diritto di chiamare casa come ha fatto per gli ultimi diciannove anni.  
 
Pochi passi, irrigiditi da una tensione che ancora non vuole scivolargli via dal corpo, lo portano innanzi al bancone della taverna, un ampio anello di legno che sembra abbracciare la spessa colonna di roccia che torreggia al centro del locale. Si china sul banco chiudendo gli occhi e schiudendo le labbra, concedendosi qualche secondo per riprendere fiato prima di pensare a tutto il resto – a ciò che lo aspetta adesso, al piano di sopra. Se ci fosse Madame Gadù dietro a questo bancone, come tutte le altre sere, ora starebbe sicuramente sghignazzando di lui e del suo respiro tremante, del suo sguardo spaurito e delle sue gambe molli, e Hoggart si ritrova a pensare che avrebbe davvero bisogno di qualcuno che gli ricordi quanto può essere patetico, certe volte.  
 
Non è più un maledetto ragazzino, dannazione. Non può piangersi addosso per sempre. 
 
Dopo qualche attimo drizza la schiena, lascia che i polmoni si riempiano di nuovo, ricolmi d'aria, e poi li svuota tutti d'un fiato fino a quando il petto non inizia a bruciargli. Si prenderebbe a schiaffi da solo, se solo l'immagine non lo facesse apparire ancora più ridicolo di quanto già non sia - invece raccoglie tutto il coraggio che gli è rimasto in corpo e supera il bancone, attraversando a grandi falcate l'intero locale prima di imboccare le scale. 
 
 
 
Il piano di sopra lo accoglie in un abbraccio fatto di silenzio e oscurità.  
 
Nessuno si è preso la briga di accendere le lanterne sistemate lungo il corridoio, e Hoggart riesce a immaginare senza fatica tutti gli altri malcapitati che, come lui, per un motivo o per l'altro si sono ridotti a chiedere asilo in questo rifugio di sfollati. Se li figura ciascuno nelle proprie stanze improvvisate, alcune separate da muri di assi di legno tirati su in fretta e furia nelle ultime settimane, mentre i meno fortunati o gli ultimi arrivati sono ancora sistemati sopra vecchi materassi o panni impilati per terra, divisi da finte pareti fatte di lenzuola o vestiti legati assieme pur di assicurare quel poco di intimità a cui nonostante tutto si fatica a rinunciare. Alcuni di loro, quelli che hanno perso tutto o che non hanno più un luogo a cui tornare, soggiornano qui da soli, sostenuti solamente dalla promessa fragile di una vita migliore che la rivolta ha dato loro, mentre altri hanno ancora la fortuna di poter contare sui propri cari, su amici, su fratelli, su mogli e mariti, alcuni persino su figli giovanissimi il cui futuro verrà scritto dall'esito di un'insurrezione in cui sono stati gettati senza possibilità d'appello. Il silenzio grave che divora il corridoio rende difficile pensare che tutti loro siano riusciti ad abbandonarsi a un docile sonno, questa notte. Piuttosto, Hoggart immagina i suoi vicini, di pochi dei quali conosce il nome e saprebbe riconoscere il viso, raccolti in un silenzio turbato per alcuni e catartico per altri.  
 
Lui, però, è aggrappato al pensiero di due persone soltanto. 
 
I suoi passi si interrompono di fronte a una porta in fondo al corridoio – di quelle improvvisate, tirate su con pezzi di legno recuperati da vecchi tavoli e mobili fatti a pezzi, un privilegio, o meglio, una fortuna capitata a pochi.  
 
Sa di non dover bussare, eppure per un attimo il suo corpo si muove in autonomia, sollevando un braccio con il pugno già chiuso e pronto ad annunciare la sua presenza. Si ferma prima di farlo, scuote il capo, non riesce a trattenere un sorriso amareggiato – è un riflesso radicato in anni e anni passati a sentirsi fuori posto, sempre un peso per gli altri, sempre quello diverso, quello che fa paura. Deve fare uno sforzo per ricordare a sé stesso che, questa notte almeno, può concedersi di non averla lui, paura. 
 
Distende il palmo contro il legno e sospinge la porta. È dentro. 
 
Per prima cosa i suoi occhi cercano bisognosi quelli delle uniche due persone in grado di dargli conforto. 
 
Ravi è seduto sul letto, con quei suoi lineamenti docili traditi dalle spalle irrigidite dalla tensione e dalle dita sbiancate attorno al bordo del materasso. I suoi occhi, tondi e azzurrissimi, lo cercano a sua volta con l’urgenza di chi ha passato le ultime ore a pensare solamente all’attimo esatto di questo incontro. 
 
Azar, invece, scatta in piedi non appena sente le assi cigolare contro il pavimento, sciogliendo le braccia nervosamente conserte contro il petto e lasciando saettare lo sguardo oltre la porta, dove Hoggart si palesa finalmente ai loro occhi. 
 
“Allora?”, chiede lei con urgenza.  
 
Hoggart si concede un attimo per guardarli entrambi, per trovare conforto nel solo pensiero di essersi finalmente riunito a loro, quindi un sospiro afflitto gli scivola dalle labbra. 
 
“Non è andata bene." 
 
Azar aggrotta la fronte, quasi non riuscisse a capire. “Cos’ha detto tuo padre?” Incalza. 
 
Hoggart scuote il capo, esitante. Riesce ancora a sentire nei timpani il riverbero della voce severa di papà, rotta da una tristezza che spacca il cuore in due. 
 
“Ha detto che se la mia intenzione è davvero quella di prender parte alla rivolta, quello di stasera sarebbe stato un addio.” Non tornare a casa domani, figlio mio. “Ha detto che non potrebbe sopportare il dolore di vedersi morire un altro figlio fra le braccia.” Non ti impedirò di andare ma per favore, non tornare. 
 
Azar e Ravi rimangono ammutoliti entrambi. Forse si aspettavano buone notizie, pensa Hoggart. Forse, stupidamente, se le aspettava anche lui. 
 
Azar è la prima a rompere il silenzio. 
 
“Ma è tuo padre, Hog,” insiste incredula. “Com’è possibile?” 
 
Le labbra di Hoggart s’incurvano in una piega amara. Non ha davvero la forza di spiegarle che è proprio perché è suo padre che ha dovuto dirgli simili parole. Che ha già sofferto abbastanza per poter essere biasimato di una decisione simile.  
 
“Probabilmente è meglio così,” mormora con un filo di voce a cui non crede nemmeno lui. “Anzi, sicuramente è meglio così.” 
 
Sente Azar sbuffare, e poi la osserva scuotere il capo, voltarsi, raccogliere nervosamente le braccia al petto e poi girarsi nuovamente verso di lui, con lo sguardo perso, incredulo, spaventato. Glielo legge nelle dita tremanti e nell’espressione che non trova pace, che vorrebbe dire qualcosa per aiutarlo, eppure la rabbia e la riluttanza ad accettare le sue parole le impediscono di trovare qualcosa di adatto. Il pensiero di saperla leggere così bene, nonostante tutto, lo fa sorridere. 
 
“Quindi lo facciamo davvero?” 
 
È la voce di Ravi, profonda e distesa, a insinuarsi nel silenzio questa volta. 
 
“Io di sicuro lo faccio,” Azar interrompe il suo girovagare agitato per lanciare un’occhiata a entrambi. “Non so voi.” 
 
Hoggart annuisce debolmente. 
 
“Non credo di poter tornare indietro, anche se volessi.” 
 
Le labbra di Ravi si stringono per un attimo, accentuando il suo sguardo addolorato. 
 
“Hog, non è troppo tardi. Nessuno ti costringe. Puoi tornare da tuo padre, se è questo che vuoi.” 
 
“Ravi!” Interrompe Azar, contrariata, ma lui non sembra farci caso. 
 
Hoggart scuote il capo.  
 
“No, va bene così. Perdonatemi... è solo che è successo tutto così in fretta, e solo ora sento il peso di tutte le scelte crollarmi addosso,” spiega. Si lascia scappare un sorriso spento. “Sono patetico. Voi non avete nemmeno potuto dire addio alla vostra famiglia, mentre io sto piagnucolando per una cosa del genere. Che stronzo.” 
 
Per un attimo, nel silenzio che segue, l’aria elettrica che permeava la stanza sembra distendersi e lasciar loro un attimo di respiro. Persino Azar – la chiassosa, impetuosa, testarda Azar – smette di camminare in cerchio, le sue braccia scivolano lungo i fianchi, i suoi occhi nero carbone si addolciscono mentre un paio di passi silenziosi la portano più vicina ad Hoggart. 
 
“Amore mio,” sussurra, allunga una mano per sfiorargli le dita con le proprie. “Siamo qui tutti e tre per lo stesso motivo. Non dimenticare quello che hanno fatto a tua sorella. Non siamo noi avere colpa.” 
 
“Lo so,” sospira Hoggart. “Hai ragione.” 
 
E quasi in risposta alla sua voce appena accennata, lei solleva entrambe le braccia e stringe le sue guance fra i palmi delle mani, costringendolo ad abbassare la testa per guardarla negli occhi. 
 
“Abbiamo bisogno di giustizia, Hog,” gli dice, con le pupille scure gettate nelle sue, quello sguardo infuocato che con prepotenza esige ogni briciolo d’attenzione, sempre. “Tutti quanti. Così che nessun altro debba soffrire come Unai.” 
 
“Hai ragione, Azar, hai ragione.” Ripete Hoggart, questa volta con più convinzione. Chiude gli occhi e si abbandona al contatto della propria pelle contro la sua, le sue mani poggiate sul viso, un calore di cui solo ora si accorge di aver avuto disperatamente bisogno – un calore a cui, nell’attimo in cui un peso gli preme contro la schiena e le spalle, se ne aggiunge un secondo, più che benvenuto. 
 
“Non portare il peso da solo, ti prego.” La voce bassa di Ravi contro il suo orecchio ha un effetto quasi lenitivo. Hoggart lo sente premersi maggiormente contro di sé, il suo petto largo che lo sovrasta, poi dita lunghe e morbide come velluto scendono a coprirgli gli occhi, dolcemente, e lui potrebbe anche sparire così, rinchiuso fra i loro corpi. 
 
“Non lo farò,” promette Hoggart in un soffio di voce. 
 
“Bravo,” risponde Azar, e la sua voce è improvvisamente, pericolosamente vicina. Non appena Hoggart si sente sfiorare dal suo respiro, schiude le labbra e lascia che sia lei a baciarlo lentamente. 
 
Con gli occhi chiusi dietro la mano grande di Ravi, ogni sensazione sembra espandersi all’infinito come cerchi nell’acqua. La presa delle dita di Azar sulle sue guance si scioglie dolcemente, le sue dita iniziano a tracciare carezze lungo il viso e poi i suoi denti affondano senza forza contro le labbra, mordicchiando senza fare male. Mentre Ravi gli posa baci silenziosi contro la nuca, sente Azar sorridergli addosso e non riesce a far nulla se non trattenere il respiro incantato. 
 
Tutte le paure che si sentiva addosso prima di questa sera sembrano già così lontane. 
 
“Credi che dovremo chiedere a Madame Gadù se ha delle altre coperte da prestarci?” Chiede Ravi contro la sua nuca, lasciando scivolare via la mano dal suo viso. 
 
“Mh-mm,” Hoggart scuote piano la testa. “Meglio non svegliarla. Per questa notte ci arrangeremo.” 
 
Sente Ravi annuire appena contro la sua testa, il suo naso sfiorargli i capelli, e poi le dita di Azar scivolare anch’esse dal suo viso e lungo i suoi fianchi, infilandosi infine sotto le sue braccia, attorno alla vita. Si ritrova stretto in un abbraccio. Solo ora, stringendola contro di sé e sentendo la sua fronte affondare contro le spalle, si ricorda di quanto il corpo di Azar sia piccolo in confronto al suo e a quello di Ravi. 
 
“Questa famiglia rimarrà sempre insieme,” la sente mormorare. L’abbraccio di Ravi li avvolge entrambi senza fatica, e il gioco di incastri che sono riusciti a creare è il luogo più sicuro a cui Hoggart riuscirebbe a pensare.