picavasnormandy: (Default)
pica ([personal profile] picavasnormandy) wrote2019-04-03 10:21 pm

[D&D OC] Una famiglia di spie

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Cow-t: ultima settimana, prompt "La Papessa" (Arcani maggiori)

@ TALPY, NUKI E CHIBI NON LEGGERE PLEASEEEEE


Se c’era un talento in cui i membri della famiglia De Ven si potevano considerare maestri, quello era la discrezione.
 
Essi furono fra i pionieri a spingersi verso le misteriose lande di Xen’drik, patria di demoni, titani e maledizioni antichissime, nonché fra i primi ad insediarsi nella storica colonia di Stormreach. Era l’ottavo secolo del Regno e i De Ven stavano già costruendo una tradizione di spionaggio che sarebbe stata efficacemente tramandata per generazioni, fino al giorno d’oggi.
 
Quella stessa discrezione in cui i giovani Lelise e Idris De Ven già eccellevano, tuttavia, non era certo il tratto più distintivo del gruppo di uomini incappucciati che li stavano seguendo da quella mattina, in un tentativo goffo e quasi comico di non farsi notare ai loro occhi e alle loro orecchie affinate da anni di addestramento.
 
A niente era servito separarsi o confondersi con la folla del mercato: gli uomini incappucciati li avevano seguiti fino a casa. Lelise e Idris si erano scambiati un’occhiata seguita da un sospiro carico di sconforto, ma nei rispettivi sguardi silenti erano riusciti a leggere la stessa crucciata aria di sconfitta, come se si trattasse di una scommessa di poco conto che avevano appena perso. Non era la presenza degli inseguitori a preoccuparli davvero – nessuno con quella scarsa predisposizione al pedinamento avrebbe mai creato apprensione in due professionisti come loro – bensì quella loro cocciuta insistenza che gli aveva permesso di braccarli fino a lì, alle porte di casa.
 
A quel punto, però, il cruccio del fallimento aveva iniziato a lasciar posto a curiosità genuina.
 
Erano bastate loro un paio di rapide occhiate per intendersi: sarebbero entrati in casa senza dare nell’occhio, Lelise si sarebbe appostata a una delle finestre, ben celata dietro la tenda di pizzo celeste, e Idris li avrebbe aspettati alla porta con la mano convenientemente a riposo nella tasca dei pantaloni, all’interno del cui doppio fondo non dimenticava mai di piazzare il coltellino di dente di drago intarsiato che sua madre gli aveva regalato per il suo dodicesimo compleanno.
 
E così avevano fatto, eseguendo il piano senza intoppi e senza sbavature. Come previsto, il silenzio della loro attesa fu interrotto non più di una decina di minuti più tardi da un paio di bruschi colpi alla porta. Idris si voltò in tempo per scorgere Lelise sollevare silenziosamente entrambe le mani e mostrargli una rapida sequenza di segni. Annuì senza bisogno di aggiungere altro, prima di metter su il suo sorriso più affabile di cui era capace ed aprire la porta.
 
Gli uomini che lo attendevano fuori da casa erano quattro, con i cappucci abbassati e pesanti armature appena visibili sotto i mantelli – questo voleva dire che tre di loro erano rimasti appostati da qualche parte lontano dall’abitazione, esattamente come Lelise gli aveva suggerito.
 
Prese fiato per parlare, ma la voce di uno di loro lo interruppe bruscamente prima che potesse proferire parola.
 
“La famiglia De Ven?”, l’uomo che si fece avanti, con la sua stazza, costrinse Idris ad allungare il collo più di quanto avrebbe voluto pur di sopperire alla differenza di misura fra di loro. In fondo, non senza una punta d’orgoglio, lui si era sempre considerato piuttosto alto e robusto per la media gnomica.
 
Ingoiò il dispiacere e gli restituì un sorriso cordiale. Non gli era sfuggita la piega del mantello che lasciava immaginare la grossa spada che l’uomo portava legata al fianco, ma decise di non dire niente. “Chi la cerca?”, domandò invece.
 
Il soldato – a quel punto Idris era quasi certo di poterlo considerare tale – s'irrigidì sul posto stringendo le labbra con fare stizzito. Idris dovette trattenere una risata.
 
“Non è affar vostro, siamo noi a fare le domande.”
 
Il giovane gnomo sollevò le sopracciglia, pronto a rispondergli per le rime, quando dalle spalle del gruppetto di uomini ammantati sentì una voce piccola e timida schiarirsi la gola. In men che non si dica le tre guardie si spostarono aprendo un varco fra i loro possenti corpi, e dietro di loro apparve una figura minuta, ancora incappucciata.
 
“Va bene, va bene”, li interruppe facendosi avanti. La sua voce era sottile e vibrante, Idris non seppe scegliere se riconoscerla come molto femminile oppure solo molto giovane. “Perdonate le maniere brusche delle mie guardie, stanno solo eseguendo ordini.”
 
Idris osservò la figura camminare fino a fermarsi dinanzi a lui, la sua stazza ben più esile rispetto a quella dei suoi accompagnatori, giusto un paio di spanne più alta rispetto allo gnomo. Sollevando il capo si affrettò ad abbassare il cappuccio, da cui fece capolino un viso minuto e delicato dagli occhi grandi e giovani, da ragazza, incorniciato da una cortissima chioma di capelli neri.
 
“Il mio nome è Jaela Daran, e questa è una delegazione della Chiesa della Fiamma Argentea proveniente da Fortefiamma. Stiamo cercando la famiglia De Ven perché abbiamo questioni della massima urgenza di cui discutere.”
 
Idris, ammutolito, dovette concedersi una manciata di secondi per elaborare tutto quello che aveva appena visto e sentito.
 
Il suo sguardo attonito si posò immediatamente sul pendaglio che la ragazza indossava appeso ad un laccio di velluto bianco che le circondava il collo. Jaela Daran, aveva detto, e questo era bastato a fargli perdere uno o due battiti di cuore – ma nel momento in cui i suoi occhi catturarono la forma della punta di lancia incisa con la sagoma di una fiamma argentata, l’inconfondibile stemma della Chiesa, le sue labbra si schiusero senza riuscire ad emettere suono, lasciandolo con un’espressione a metà fra l’inebetito e l’incredulo a fissare il collo ornato della giovanissima umana.
 
O meglio, ora che l’aveva finalmente riconosciuta, della Guardiana della Fiamma Argentea.
 
“Mia... mia signora?”, balbettò, per nulla sicuro di quale fosse il giusto modo per appallare una persona del suo calibro. Si affrettò a chinare il capo impacciato, portandosi il pugno chiuso contro il petto con aria di riverenza come aveva visto fare tante volte ai servitori dei Lord della Tempesta. La sua famiglia non aveva mai obbedito a nessuna autorità, e d’altronde la Chiesa era quanto di più lontano potesse esistere dalla comunità di fedeli della Fiamma Argentea di Stormreach, perciò non c’era traccia di familiarità o di abitudine in un gesto simile, per lui.
 
“Per favore, non devi.”
 
Sentì una mano posarsi leggera sulla sua spalla, e solo allora si concesse di rialzare lo sguardo verso di lei.
 
“Guardiana, cosa vi porta in terre così lontane?”, le domandò con stupore sincero.
 
“E con una scorta che dà così poco nell’occhio, per giunta.”
 
Idris si era quasi scordato della figura di Lelise acquattata sul davanzale della finestra, tanto che sobbalzò sul posto quando la sua voce squillante e decisa, non priva di una punta di spavalda derisione, s’insinuò fra di loro allo stesso modo di ogni altra cosa che riguardasse la giovane gnoma: con forza e senza chiedere permesso.
 
Anche Jaela sussultò quando Lelise balzò per terra palesandosi a loro, e alle sue spalle tutte e tre le guardie scattarono sul chi va là con le dita già strette attorno all’elsa degli spadoni. La ragazza, però, non esitò a sollevare una mano, ed il gesto bastò da solo a placare l’improvvisa paranoia dei soldati.
 
“Dovete perdonarci”, si scusò immediatamente la Guardiana. “L’inseguimento non è la nostra specialità. E a dire la verità”, spostò nuovamente lo sguardo verso Idris, come a riprendere la domanda che aveva lasciato in sospeso prima dell’apparizione della sua chiassosa cugina, “Siete voi a portarmi qui.”
 
Lelise e Idris si scambiarono uno sguardo dubbioso.
 
“Noi?”, le loro voci domandarono all'unisono.
 
La Guardiana strinse le labbra, senza nascondere loro l'espressione tormentata che le divorava il viso. “Nessuno dei membri del Concilio sa che mi trovo qui”, ammise. “Credono che io sia in viaggio per una visita diplomatica oltre confine.” Nel sollevare il viso verso i due cugini, i suoi occhi si accesero di una cauta speranza. “In verità sono qui per voi. So che la comunità di fedeli della Fiamma di Stormreach è molto forte, lo è sempre stata.”
 
Idris si lasciò sfuggire un sospiro.
 
“Mia signora, sicuramente conoscerete meglio di noi le circostanze che hanno portato allo scisma”, disse. Lelise lo interruppe immediatamente, la sua pazienza ben più sottile di quella del cugino. “Sì, e saprete anche bene che la nostra comunità si è spinta su questa colonia per portare la parola della Fiamma su Xen’drik, solo per vedere la propria lealtà messa barbaramente in dubbio da Thrane per via di qualche divergenza di vedute. Aiutami a ricordare, Idris, di cosa si trattava?”, si voltò verso il cugino incrociando le braccia, sul suo volto un’espressione pensierosa fabbricata alla perfezione. Idris, che sapeva bene quanto Lelise potesse diventare una testa calda con le giuste provocazioni, provò a fermarla, ma lei lo interruppe di nuovo. “Ah, già, ci siamo dissociati dalle vostre crociate e dai vostri genocidi, ecco perché ci avete tagliati fuori. Non abbiamo più legami né obblighi verso la vostra Chiesa”, concluse secca. “E credo sia meglio così.”
 
Jaela ascoltò ogni parola, il suo viso impassibile ed i suoi occhi fissi sulla giovane De Ven. Non osò interrompere la sua frustrazione - più che legittima, per quanto non del tutto diretta nella direzione appropriata – ma nemmeno si lasciò scalfire da colpe non sue con cui aveva già iniziato a fare i conti.
 
“Ne sono al corrente”, le rispose infine, con un cenno rispettoso del capo. “Io, da sola, purtroppo non ho il potere di correggere le scelte dei miei predecessori, ma intendo usare tutte le mie forze per fare in modo che non si ripetano in futuro. E riguardo alla vostra mancanza di affiliazione”, passò lo sguardo su entrambi, dedicando loro un sorriso delicato. “È precisamente il motivo che mi ha portato da voi.”
 
Lelise strinse le labbra, pronta a ribattere, ma a quel punto Idris era pronto a fermarla. Le posò una mano sulla spalla prima che potesse aprire bocca per riversare altra rabbia sulla Guardiana – una rabbia che non gli era affatto estranea, di certo, ma che aveva già intuito non sarebbe stata loro di alcun aiuto in una situazione simile. La Guardiana aveva detto il giusto, in fondo: lo scisma era stato imposto loro quasi un secolo prima, e la ragazzina che avevano di fronte non poteva essere più di un’adolescente, non c’era modo che lei fosse stata coinvolta nella decisione né che potesse porvi rimedio con uno schiocco di dita, nonostante la sua carica. Doveva esserci un motivo per cui la sovrana di Thrane, nonché la più alta carica della Chiesa, era finita a bussare alla loro porta mentendo al Concilio dei cardinali, e Idris era disposto quanto meno ad ascoltare le sue ragioni prima di decidere di non fidarsi di lei.
 
Jeala approfittò del loro breve silenzio per intromettersi di nuovo.
 
“Vi chiedo solo di ascoltare il motivo della mia visita", disse loro. “Dopodiché, se sarà il vostro desiderio, le nostre strade non si incroceranno mai più se non per volere della Fiamma.”
 
Lelise rise beffarda prima di scrollarsi la mano di Idris dalla spalla.
 
“D’accordo, Vostra Altezza”, disse, una punta di piccata derisione a pizzicarle la voce. “Accomodatevi dove volete, fate come se foste a casa vostra. È così che fanno quelli come voi, no?”
 
Idris sospirò rivolgendo alla Guardiana un silenzioso sguardo di scuse mentre la cugina lo precedeva nel piccolo tinello adiacente all’atrio. Fu lui a premurarsi di invitare le tre guardie all'interno – dovettero chinarsi tutte quante una per una, dato che la casa era costruita a misura di gnomo – e infine a chiudere la porta alle loro spalle, facendo cenno a Jaela di seguirlo. La ragazza ordinò ai suoi uomini di attendere sulla porta e poi li raggiunse nel piccolo salotto.
 
Era una stanza tutto sommato accogliente, con le sue tende di pizzo ricamate dalla nonna, le piccole seggiole di legno e il tavolo tondo al centro, i vasi di fiori che davano un tocco di colore alla mobilia e qualche dipinto di vascelli e creature marine ad adornare le pareti.
 
Jaela si guardò attorno piena di meraviglia prima di accomodarsi al tavolo. Raramente si era spinta fuori dai confini di Thrane, e Stormreach era una città così diversa da Fortefiamma e da ogni altra capitale che le era capitato di visitare. Le strade della colonia sembravano arrampicarsi su rovine antichissime emerse dal cuore stesso della terra, e persino le isole fluttuanti che galleggiavano nel cielo sopra alla città portavano dentro di sé frammenti di civiltà ormai scomparse di cui nessuno ricordava più nulla. Non era facile da spiegare, ma una magia ancestrale sembrava abitare la caotica, variopinta e inquietante anima di Stormreach.
 
Senza indugiare oltre, Jaela raccolse le mani sul tavolo e rivolse ai due gnomi uno sguardo grave. Fu come se in un battito di ciglia avesse smesso di esistere la ragazzina timida di poco fa, sostituita dalla risolutezza di una Guardiana costretta a crescere fin troppo in fretta.
 
“Vorrei chiarire fin da subito una questione: se sono qui è perché non credo di potermi fidare di chi a Fortefiamma sostiene di essermi fedele. Sta succedendo qualcosa nella capitale. Il Concilio si sta muovendo alle mie spalle perché crede di poter approfittare della presenza di una Guardiana giovane e ingenua, ma si sbaglia. Non biasimo il vostro rancore verso di noi né condivido la direzione che la nostra teocrazia sta prendendo, fuori e dentro la guerra. Il cuore della Chiesa sta cambiando, e sta cambiando in peggio. Coloro che si proclamano guida per i nostri fedeli stanno abbandonando la via originaria in favore di corruzione e sete di potere, di interessi politici che non hanno nulla a che vedere con il volere della Fiamma.” La Guardiana si fermò, cercò i loro sguardi e li trovò attenti, immobili. Un’improvvisa aria di gravità aveva iniziato a pesare sulla stanza. “È per questo che spero di potermi fidare di voi: la vostra fede non è imbrigliata da alcuna istituzione, non ha obblighi né privilegi.”
 
Lelise e Idris si concessero qualche attimo di silenzio. Non erano poche le informazioni da elaborare, e nessuno dei due era ancora sicuro di quale fossero le reali intenzioni della Guardiana.
 
Fu Idris a parlare per primo.
 
“Guardiana, dovete perdonarci, la vostra presenza qui e le vostre parole ci colgono più che mai di sorpresa. La nostra famiglia non ha particolare potere sulla colonia, siamo semplici cittadini come tanti altri. Non capisco perché avete scelto di rivolgervi proprio a noi.”
 
Jeale annuì con un gesto delicato del capo, quindi chiuse gli occhi e lasciò che il silenzio si posasse fra di loro per quei pochi istanti di cui aveva bisogno per trovare un coraggio che aveva seminato con dedizione e pazienza per tutti gli anni che aveva già trascorso come Guardiana della Fiamma – troppi, probabilmente, per una ragazza giovane come lei.
 
Quando riaprì gli occhi, il suo sguardo era infiammato da una determinazione nuova.
 
“Io desidero riallacciare i rapporti fra Fortefiamma e Stormreach”, annunciò senza esitazione. “Tuttavia so di avere contro l’opinione di gran parte del Concilio, e da sola non c’è molto che io possa fare.”
 
Di fronte alla sua risolutezza, Idris e Lelise non seppero far altro che rimanere ammutoliti. Jaela ne approfittò per parlare di nuovo.
 
“So che la vostra famiglia ha servito il volere della Fiamma per generazioni.” Puntò le mani sul tavolo e si alzò in piedi in un unico scatto deciso, il suo sguardo inamovibile come lo era la sua anima in quell’istante. “Sono qui per chiedere a voi se, in qualità di prescelta dalla Voce, vogliate accettare di aiutarmi in una missione della massima importanza.”
 
Le sue ultime parole echeggiarono nella stanza senza un briciolo di indecisione. Jaela, il cui corpo minuto e sottile sembrava essersi fatto grande quanto la sua fermezza, aveva umilmente chinato il capo e la schiena dinanzi ai suoi due piccoli ospiti, in un gesto di estrema supplica che così poco si addiceva al titolo che portava assieme al suo nome.
 
Idris e Lelise scattarono in piedi uno dopo l’altro, colti del tutto alla sprovvista dal suo gesto.
 
“Guardiana, vi prego, non inchinatevi a noi”, insistette Idris con voce incerta mentre i suoi occhi spaesati cercavano la cugina. Persino Lelise aveva perso la sua aria spavalda.
 
“Non c’è bisogno di essere tanto drammatici”, disse la gnoma, non senza una punta di nervosismo nella voce. “Perché invece non ci dite qual è questa missione tanto importante che vi ha portato fino a qui?”
 
Solo dopo aver sentito le sue parole Jaela rizzò il capo, annuendo piano. Nonostante tutto, nei suoi occhi divampava ancora quella sua fierezza ostinata.
 
Si sedette, e così fecero anche i due gnomi.
 
Jaela iniziò a spiegare.
 
“Il mio obbiettivo è quello di riavvicinare la comunità di Stormreach a Thrane e di uniformare di nuovo la Chiesa, come era in principio. Intendo dare una scossa al Concilio e far capire loro che la Chiesa ha bisogno di andare avanti, di evolversi. Ormai il Concilio è solo un branco di persone troppo anziane e troppo attaccate alle loro sedie, non riuscirò mai a riformare la Chiesa come desidero se loro continueranno a remarmi contro.”
 
“Riformare?”, domandò Lelise. Jaela annuì.
 
“Ci sono diverse riforme che ho in mente. Troppe atrocità sono state commesse dai miei predecessori in nome della Voce e della Fiamma, ed è il momento che chi ne ha il potere ponga fine a questo muro di intolleranza che la Chiesa si è costruita addosso secolo dopo secolo. Parte dei membri del Concilio erano già presenti quando queste cose sono successe, non accetteranno mai di piegarsi ed ammettere le loro colpe.”
 
“Perché non usate il vostro potere per metterli in riga? Siete a capo della Chiesa e avete un’intera nazione al vostro cospetto, mi vengono in mente poche altre persone che abbiano più potere di voi”, suggerì Lelise.
 
“Sulla carta, forse, ma non è così facile come sembra", ribatté la Guardiana. “L’equilibrio interno alla Chiesa è più che mai fragile in questi anni di guerra. Desidero il cambiamento, ma so che questo dovrà avvenire dall’interno, gradualmente, così come gradualmente il Concilio si è costruito questa bolla di potere attorno fin dalla nascita della teocrazia.”
 
Lelise rimase in silenzio per qualche istante, con gli occhi fissi in quelli della ragazza.
 
“Come intendete creare questo cambiamento?”, chiese, cauta.
 
La risposta di Jaela fu immediata, come se se la fosse tenuta dentro per tutti gli anni del suo mandato. “Rafforzando il mio legame con alleati di cui posso fidarmi.”
 
“E cosa vi fa pensare che siamo noi, questi alleati?”
 
Le labbra di Jaela si distesero in un sorriso che da solo riuscì a smorzare l’aria pesante che aveva iniziato a scaldare la stanza.
 
“So che la vostra famiglia tramanda una tradizione di spionaggio da generazioni”, disse. “Ho bisogno della vostra abilità in merito riguardo a una missione oltre confine. Se non per lealtà, per ora, almeno per un lavoro che vi sto offrendo.”
 
Idris e Lelise si scambiarono un’occhiata veloce.
 
“Oltre confine?”, chiese Idris.
 
“Si tratta di Cyre, precisamente.”
 
“Il cuore della guerra”, puntualizzò Lelise, senza un briciolo d’entusiasmo.
 
“Esattamente. E anche il luogo in cui sta sorgendo una città nuova che ha aperto le porte a chiunque voglia fuggire, da questa guerra. La chiamano Aventros, il Rifugio sotto la terra.”
 
I due cugini ne avevano sentito parlare di sfuggita, per le strade di Stormreach. Si trattava perlopiù di racconti di viaggiatori che andavano e venivano dal continente e portavano storie di questa fantomatica città sotterranea comparsa dal nulla, non lontano dalla capitale di Cyre. I resoconti erano accompagnati da commenti di beffa la maggior parte delle volte, e d'altronde si trattava di faccende così lontane da casa che nessuno dei due ci aveva mai prestato particolare attenzione.
 
“Parlateci di questo lavoro”, disse Lelise – Lelise De Ven, la spia professionista, non più la giovane gnoma dalla testa calda e la battuta facile.
 
“La nascita della città è avvolta nel mistero, e ancor più misteriosa è l’organizzazione che ne ha guidato lo sviluppo”, iniziò a spiegare Jaela. “Una certa Aqqan-Ra. Gira voce che strani complotti si nascondano dietro la facciata da salvatori dei suoi dirigenti. Vorrei che voi vi inseriste nella città sotto falsa identità, che indaghiate cosa sta succedendo e che riportiate le vostre scoperte a me e me soltanto, specialmente se entrate in contatto con attività sospette.” Si concesse una pausa, e quando riprese a parlare la sua voce si era fatta più morbida, così come la sua espressione. “So di chiedervi molto, ma sento che non esiste nessuno di cui possa fidarmi a Fortefiamma. E ultimamente ho ricevuto delle visioni... disturbanti. Ho un pessimo presentimento riguardo a questa Aventros. La Fiamma è inquieta, c’è qualcosa che non va.”
 
Lelise schiuse le labbra, poi le serrò di nuovo. Aveva così tante domande, così tanti dubbi, eppure nessuno di loro riusciva a prendere forma in quel momento. Strinse i pungi posati sulle ginocchia, sotto il tavolo, dove non avrebbero potuto tradire il suo nervosismo – o forse era pura e semplice eccitazione?
 
“Tira... la Voce vi parla? Voi l’avete sentita?”, si ritrovò a domandare d’impulso, come se fra tutto il resto fosse l’unica informazione davvero rilevante.
 
Jaela sorrise piano alla sua curiosità. C’era una traccia di antica fierezza nella sua espressione.
 
“Di tanto in tanto ricevo delle visioni. A volte sento delle voci. Credo che sia lei a parlarmi, la sua anima unita alla Fiamma. È così che ho ricevuto la chiamata, ed è così che mi guida quando mi sento persa.”
 
I due cugini l’ascoltarono rapiti. Per un attimo Jaela era tornata ad essere niente di più che una ragazzina piena di insicurezze e di sogni, alcuni più ingenui di altri, ma pur sempre carichi di testardaggine. Fu quel momento di intima sincerità che permise loro di trovare un punto di contatto, il principio di fiducia che serviva loro per far calare il muro di diffidenza dietro cui erano così abituati a rintanarsi.
 
“D’accordo”, riprese Lelise. “Si tratta di una missione impegnativa che potrebbe richiedere anni di lavoro sotto copertura. Mi aspetto una ricompensa adeguata.”
 
Jaela annuì immediatamente.
 
“Naturalmente riceverete il vostro compenso in oro, a seconda della vostra richiesta. Ma la mia speranza è che questa missione possa portare alla luce misteri che ancora nessuno si è preso la briga di sbrogliare, magari dando una svolta a questa guerra che dura ormai da troppo tempo. E se tornerete con un simile successo fra le mani, il Concilio non avrà altra scelta se non riconoscere il merito a voi, e con voi alla colonia di Stormreach”, spiegò, e le sue parole scivolarono con tanta naturalezza che era come se Jaela non avesse aspettato altro che snocciolare un discorso simile per tutta la sua vita.
 
Lelise inclinò il capo di lato e sollevò le sopracciglia, la sua espressione ora tinta da una punta di sincera ammirazione. “Due piccioni con una fava”, commentò. “È un piano astuto. Complicato oltre misura, ma astuto”, le rivolse un sorriso ampio, soddisfatto. “Mi piace.”
 
Idris, al suo fianco, sospirò come se l’avesse già vista comportarsi allo stesso altre centinaia di volte. “Hai cambiato opinione in fretta”, fu il suo commento, per nulla sorpreso.
 
Lelise si voltò verso di lui picchiettando l’indice contro le tempie. Sembrava aver già ripreso tutta la sua vitalità. “La flessibilità di pensiero è un pregio fondamentale per un spia, ricordi?”. Senza lasciargli tempo di rispondere, come se un’epifania l’avesse appena colta, spostò lo sguardo verso la Guardiana. “Jaela”, la chiamò, come soppesando il suo nome assieme al pensiero un po’ assurdo di non averlo ancora mai pronunciato a voce alta. “Posso darti del tu?”
 
Ci fu un attimo di silenzio in cui Idris fu certo di intravedere le gote della Guardiana tingersi di un rosa intenso e i suoi occhi agitarsi pieni d’imbarazzo. Realizzò solo in quel momento che in pochi si fossero rivolti a lei con tanta schiettezza prima d’allora, e sorrise al pensiero che se esisteva qualcuno che potesse spingersi a farle una domanda tanto franca per il puro e semplice desiderio di ricevere una risposta sincera, quella persona non poteva che essere sua cugina Lelise.
 
Dopo un istante di sbigottimento, Jaela abbozzò un sorriso impacciato.
 
“Solo se mi dite i vostri nomi”, rispose.
 
Senza esitare, Lelise sollevò una mano e la porse alla ragazza.
 
“Lelise De Ven, è un piacere conoscerti.”
 
La ragazza la strinse, si scambiarono un cenno del capo, e poi spostò lo sguardo verso l’altro gnomo.
 
“Io sono Idris”, disse lui, chinando brevemente la testa. “Io e Lelise siamo cugini.”
 
Jaela annuì con un sorriso. “Mi piacerebbe conoscere anche il resto della vostra famiglia. Non sono in casa?”
 
Lelise scosse il capo con un ghigno.
 
“No, naturalmente questa non è casa nostra. È solo un edificio la nostra famiglia usa in caso d’emergenza, ad esempio ci accorgiamo di esser pedinati per tutta la città e non vogliamo far sapere dove abitiamo”, spiegò, la sua voce tinta d’orgoglio.
 
Jaela si lasciò sfuggire un verso piccolo e ammirato.
 
“E in ogni caso”, s’intromise Idris, “Lelise vive con la mia famiglia da quando è piccola, i suoi genitori hanno deciso di non seguire la tradizione e si sono allontanati dai De Ven anni fa. I miei genitori, invece, al momento si trovano sul continente per un lavoro. A Stormreach siamo rimasti noi e la nonna.”
 
“Già, Idris e la nonna sono la mia famiglia ormai”, ribadì Lelise. “E tu quanti anni hai, Jaela? Non pensavo che i Guardiani potessero essere tanto giovani.”
 
Per qualche motivo, la ragazza sembrò ritrovare la propria sicurezza. Rizzò la schiena e distese le labbra. “Ne avrà quindi fra qualche mese”, disse. “Ne avevo sei quando la Voce mi ha chiamata, ed è il motivo per cui il Concilio è tanto convinto di potermi manipolare come meglio crede. Gli lascerò questa stupida convinzione, la loro arroganza sarà la mia arma migliore.”
 
Lelise sollevò le sopracciglia in un misto di sorpresa e sincera ammirazione. Si voltò verso Idris con un sorriso sospeso fra le labbra. “Vedi?”, gli colpì il braccio con il gomito. “Mi piace come pensa.”
 
Idris si abbandonò ad una risata, e per un attimo tutti e tre sembrarono dimenticare la gravità della circostanza che li aveva portati nello stesso luogo. Fu Lelise ad alzarsi in piedi per rivolgersi di nuovo a Jaela.
 
“Sei appena una bambina, ma anche noi lo eravamo quando abbiamo accettato l’eredità di questa famiglia”, disse. Non c’era giudizio né paternalismo spiccio nelle sue parole, solamente una comprensione fatta di una fiducia che avevano già iniziato a costruire assieme. La gnoma si voltò verso il cugino, come in attesa. Quando anche lui si alzò e si scambiarono un cenno deciso del capo, Lelise riprese a parlare. “Fino a quando il destino deciderà diversamente”, annunciò alla Guardiana. “Saremo al tuo servizio.”
 
Jaela si strinse le labbra, i suoi occhi pieni di una gratitudine che non sapeva come iniziare ad esprimere a parole. Si alzò in piedi e chinò il capo frettolosamente, rivolgendo poi loro un sorriso ampio.
 
“Vi ringrazio. Il vostro sforzo non sarà vano, sono sicura che stiamo mettendo in moto qualcosa di importante, oggi.” Li guardò entrambi. “Purtroppo non posso fermarmi a lungo in questa città, oggi stesso dovrò ripartire per non destare sospetti nel Concilio”, disse loro. “Farò in modo di contattarvi ancora, non preoccupatevi.”
 
Lelise e Idris annuirono. La stretta di mano che si scambiarono quel giorno avrebbe deciso il loro destino in modi che ancora non potevano immaginare, eppure allora, riflessa nei loro occhi, c’era solo l’immensa forza d’animo di quella ragazzina a cui avevano appena giurato fedeltà.
 
“Ad Aventros, allora.”