[D&D OC] Per mano, qualunque cosa accada
Mar. 15th, 2019 09:41 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Fandom: originale
Rating: safe
Parole: 2976
Note: @ NUKI, TAPLY, CHIBI VIA DA QUI O EOIN MUORE
COW-T: settimana 5, M1 (In fuga)
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COW-T: settimana 5, M1 (In fuga)
Suraj li ha attraversati innumerevoli volte, negli anni, eppure i corridoi bianchi e liscissimi del centro di ricerca non gli sono mai sembrati interminabili come oggi.
Il rumore di passi concitati e di respiri pesanti riempie l’aria come i tamburi di guerra durante la battaglia delle piane di Talenta, un ricordo che pensava di aver perso assieme alla sua vita sulla superficie, e che solo ora, dopo interi decenni, gli riaffiora alla mente come se d’un tratto si trovasse ancora lassù, spada alla mano, il viso imbrattato di sangue – suo e di mille altri giovani come lui, mandati a trucidarsi per il capriccio di principi e re ormai da tempo sepolti sotto terra, una guerra del cui inizio quasi nessuno ha più memoria, ormai.
Suraj si era trasferito ad Aventros perché di quella stupida, inutile, sanguinosa guerra non voleva più rendersi complice, e l’aveva fatto decidendo di disobbedire agli ordini di suo padre. Non era stata una scelta facile, specialmente visto che allora era poco più di un adolescente e scappare dai suoi genitori e dalla guerra voleva dire, nonostante tutto, ritrovarsi senza una casa e senza un soldo – eppure, ad Aventros, gli avevano promesso una vita di pace, gli avevano promesso che avrebbe potuto diventare tutto quello che desiderava, che non c’erano limiti ai colori con cui intendeva dipingere il suo futuro. Fu ancora più difficile dopo il Cordoglio, quando le porte della città vennero chiuse e nessuno, allora, sapeva per quanto tempo sarebbe durato il loro isolamento. Aveva conosciuto Thaleia poco dopo, ai corsi di specializzazione dell’Accademia, e tutt’oggi, per lui, quell’incontro fu una salvezza, in tutti i sensi possibili. Anche questo gli ritorna alla mente mentre corre a corto di fiato e con le ginocchia in fiamme, stringendo un corpo minuscolo e tremante fra le braccia, e le pareti dei corridoi sfrecciano veloci ai lati del suo campo visivo.
Nella frenesia della fuga un pensiero bizzarro gli attraversa la mente: come Thaleia, questo luogo è stato la sua salvezza, ma a differenza sua, oggi, sarà anche la sua rovina.
Ha giusto il tempo di voltarsi e guardarsi indietro – no, non è vero, non ha nemmeno quello, però semplicemente deve farlo, perché non ha alcuna intenzione di abbandonare nessuno dei bambini che stanno correndo assieme a lui. Sono cinque in tutto, gli unici che è riuscito a raggruppare prima della fuga. Sapeva che difficilmente sarebbe riuscito a salvarli tutti e, a dire il vero, per come si stanno mettendo le cose, non è del tutto sicuro che riuscirà a salvare nemmeno questi pochi – non è sicuro che arriverà vivo alla fine di questo corridoio, nonostante sia certo che l’allarme non sia ancora stato lanciato. L’unica cosa importante, adesso, è portare questi bambini fuori dalla Radice; al resto potrà pensare quando saranno fuori di qui.
“Dottore, manca molto?”, una voce piccola e affannata chiede alle sue spalle. Suraj non ha il tempo di voltarsi, ma allunga una mano e afferra quella tremante della piccola Morgwais. “Un ultimo sforzo, ok? Tieni duro, ricorda l’addestramento”, le dice, raccogliendo tutto il fiato che gli rimane solo per assicurarsi che lei senta la sua voce, nella speranza un po’ ingenua che il solo suono basti a rassicurarla.
“A me fa male la pancia”, interviene Mun; la sua voce trema spaventata. “Non ce la faccio...”
Prima che Suraj possa bloccarsi allarmato, un altro dei bambini lo precede. È Nyx, la sorellina di Mun, con i suoi lunghi capelli bianchi e gli occhi di un grigio brillante, la pelle color cenere tipica dei mutaforma della sua specie. “Mun, se ti fermi ti prendono”, gli dice, prendendogli una mano, con la voce rotta da respiri doloranti. “Non vuoi che ti riportino indietro, no?”. Con la coda dell’occhio Suraj scorge Mun stringere gli occhi e scuotere energicamente il capo, poi continuare a correre a fianco della sorella senza dire un’altra parola.
Non fanno in tempo a trascorrere che pochi istanti prima che cinque dita sottili si aggrappino al suo colletto. “Rozbenn”, Suraj abbassa gli occhi verso la piccola gnoma che tiene fra le braccia. “Tutto bene?”. Lei non risponde, però il dottore vede il suo capo voltarsi e i suoi occhi fissare verso la fine del corridoio, dove un bivio curva verso destra e verso sinistra. "Sento dei rumori", dice la bambina, lo sguardo concentrato. "C'è qualcuno laggiù."
Suraj stringe la mandibola e se potesse, come per alleviare il cuore impazzito nel petto e questa paura che assomiglia così tanto alla rabbia, nel sapore e nelle sensazioni, caccerebbe un urlo che finirebbe per echeggiare per l'intero edificio. "Sei sicura?", domanda invece a voce bassa, e la bambina annuisce, così Suraj rallenta la corsa fino a fermarsi, allungando il braccio libero per fare cenno agli altri ragazzini di fare lo stesso. Quando li vede alzare gli occhi fra lo spaventato ed il sorpreso, solleva l'indice davanti alle labbra per far loro cenno di non far rumore. Devon, con il respiro pesante ed il petto che trema dallo sforzo, stringe i denti e supera i suoi compagni in atteggiamento protettivo, un gesto che Suraj gli ha visto fare diverse volte, come se fosse iscritto nel suo DNA. Si lascia sfuggire un sorriso, nonostante tutto - sta facendo del bene, e non può dimenticarselo proprio adesso.
Si volta e avanza qualche passo verso il bivio, stando attento a fare il minor rumore possibile nonostante le braccia in fiamme e le gambe che ormai non si sente più - e poi, trattenendo il respiro per il terrore di essere scoperto, si affaccia oltre l'angolo del corridoio, sbirciando nella direzione che gli ha indicato Rozbenn.
Come in un monito di sciagura, il cuore inizia a martellargli nel petto quando scorge due dottori parlottare fra loro non più di una decina di metri più avanti. Torna a nascondersi con la schiena premuta contro la parete, abbassandosi sulle ginocchia. Sollevando il palmo aperto, fa segno ai ragazzini di aspettare. "Al mio segnale", dice senza far rumore, sperando con tutto sé stesso che riescano a comprendere il labiale, "Da quella parte", indicando lo sbocco del bivio nella direzione opposta rispetto ai dottori. Un paio di loro - Devon e Nyx - annuiscono prontamente, mentre Mun si guarda attorno spaventato, stringendo ancora di più la mano della sorella, che in risposta gli strattona il braccio in un tentativo maldestro e nervoso di infondergli un pizzico del coraggio che lei si sta sforzando di ostentare.
Suraj annuisce, lascia Rozbenn a terra e si rialza, affacciandosi nuovamente sul corridoio. Prima che possa prendere qualsiasi iniziativa, però, una mano gli si posa leggera contro il braccio, costringendolo a fermarsi. Guarda in basso e Morgwais è accanto a lui, con gli occhi nei suoi e l'indice di fronte alle labbra a suggerirgli di non far rumore. Prima che possa dire niente, lei fa capolino oltre l'angolo, quanto basta per riuscire a lanciare un'occhiata lungo il corridoio, quindi le dita della sua mano iniziano a tracciare simboli silenziosi, rune di una tenue luce rosa che sbiadiscono velocemente attimi dopo aver segnato l'aria.
Per un attimo Suraj rimane con il fiato sospeso, aspettandosi di vedere da un momento all'altro scie distruttive di magia disperdersi dalle sue mani per scagliarsi letali contro i due uomini - eppure gli basta un istante di lucidità per ricordarsi che Morgwais non è stata inserita in nessuno degli addestramenti marziali, pertanto difficilmente sarebbe in grado di utilizzare incantesimi offensivi. Invece dell'esplosione da cui il suo corpo si era già preparato a fuggire, Suraj sente solo un rumore, piccolo, lontano, improvviso - come il suono di oggetti che rovinano a terra ovattato dietro una parete.
Quando riabbassa gli occhi, senza capire, la bambina gli fa un occhiolino esibendo un sorrisetto dolorante ma non per questo meno compiaciuto, prima di afferrare la sua mano e di trascinarlo nella direzione opposta rispetto alla fonte del rumore. Con la coda dell'occhio, mentre gesticola agli altri bambini di seguirlo, Suraj scorge i due dottori bloccarsi e voltarsi allarmati verso la direzione del rumore, scambiarsi un'occhiata dubbiosa e poi affrettarsi oltre una porta, scomparire dal suo campo visivo e lasciar loro modo di sgattaiolare via senza esser notati.
Avanzano per corridoi che sembrano aggrovigliarsi infiniti, trovando nascondiglio in stanzini stretti e bui, all’occorrenza, oppure sfruttando gli stessi trucchetti di magia per crearsi un varco fra guardie e scienziati, ogni volta un po’ più stanchi e un po’ meno lucidi. È solo quando Suraj inizia a riconoscere i passaggi appena al di fuori della struttura sperimentale, con i suoi androni più ampi e decisamente meno asettici, gli stemmi di Aqqan-Ra a decorare colonne e pareti di marmo, che il suo cuore riesce per la prima volta a trovare un briciolo di pace e il suo respiro trova per un attimo sollievo. Si concede di rallentare, più per la consapevolezza della possibile presenza di guardie delle Forze di sicurezza che per un effettivo affievolirsi del pressante senso di urgenza che ha permesso al suo corpo di trascinarlo fin qui.
“Ci siamo quasi”, si volta verso i ragazzi e rivolge loro un sorriso tirato, stremato ma pur sempre speranzoso. “Un ultimo sforzo. Mi raccomando, rimaniamo uniti.” I suoi occhi cercano i loro visi, uno per uno, per assicurarsi che siano ancora tutti con lui, corpo e mente, e quando il suo sguardo si posa sulla figura minuta di Mun, con il capo chino e la mano libera da quella della sorella stretta attorno al bordo della casacca, piega le ginocchia per abbassarsi alla sua altezza.
“Ehi, ometto”, lo chiama, e il bambino timidamente solleva il capo, senza il coraggio di guardarlo negli occhi. “Fra un po’ saremo fuori di qui, però devi promettermi – ehi, guardami, Mun”, senza prepotenza gli passa l’indice sotto il mento, “Devi promettermi che ce la metterai tutta. Andrà tutto bene da oggi in poi,” alza gli occhi e guarda anche gli altri, lasciando loro il tempo di recuperare il fiato un’ultima volta. “Andrà tutto bene, capito?”, ripete. Devon annuisce, e accanto a lui Morgwais fa lo stesso. “Ho una fame da lupi”, dice la bimba massaggiandosi lo stomaco, e Suraj non riesce a trattenere un sorriso. “Quando saremo al sicuro vi offrirò una cena coi fiocchi”, le assicura mentre si alza e allunga una mano sul capo di Mun, arruffandogli i capelli chiari. “Mi raccomando”, guarda lui, e poi sposta lo sguardo verso Nyx, “Tenetevi per mano, qualunque cosa accada.” I due mutaforma si scambiano una lunga occhiata, annuiscono piano e Suraj riesce a vedere la stretta delle loro mani saldarsi, quasi un riflesso del coraggio scaturito nei loro cuori. Non ha bisogno di altro.
“Va bene, ci siamo”, soffia, rivolgendo gli occhi in avanti, all’ultimo corridoio che li separa dall’androne d’ingresso dell’edificio.
Iniziano ad avanzare più lentamente, senza correre questa volta – non c’è margine d’errore, non quando sono così vicini alla libertà e alla salvezza. I loro passi quasi non si sentono, e persino i respiri si ammutoliscono nonostante tutto – Mun e Nyx scivolano lungo le pareti leggeri come due sospiri di vento, Rozbenn e Morgwais solo alle sue spalle, annidate nella sua ombra, mentre Devon rimane in coda al gruppo, come sempre, uno scudo fra loro e qualsiasi pericolo possa sorprenderli all’ultimo secondo.
Poi, improvvisamente, senza preavviso, il mondo attorno a loro finisce sottosopra.
Dura meno di un attimo, annunciato solamente da un fischio distante e fugace che nessuno di loro ha il tempo di registrare davvero. I piedi di Suraj si staccano dal pavimento, la vertigine improvvisa gli risucchia il respiro mentre agli estremi del campo visivo vede le pareti vorticare e poi alternarsi senza criterio con il soffitto ed il pavimento, lo stesso contro cui, appena un istante più tardi, il suo corpo impotente si schianta provocando una scarica brusca e improvvisa del dolore più forte che abbia mai provato in vita sua. Si accorge solo dopo attimi di agonia che l'aria tutt’attorno, quella che gli sfiora la pelle e quella che a ogni colpo di tosse risucchia nei polmoni, brucia incandescente come fuoco vivo pronto a divorarlo. Quando impunta una mano a terra per risollevarsi, ancora mezzo intontito, il corridoio sembra rivoltarsi a rallentatore davanti ai suoi occhi – vede fumo, e i residui di minuscole scariche elettriche che ancora fendono l’aria, ma il suo sguardo cerca disperato una cosa soltanto, e quella cosa sono i corpi dei cinque bambini che ha giurato di salvare. Li conta uno per uno, accasciati sul pavimento, come inermi ricoperti dalla polvere e dai detriti sottili che l’esplosione - la sua mente inizia ad elaborare solamente ora – ha fatto crollare loro addosso. Sforza ogni muscolo scosso dagli spasmi della caduta, si rialza in piedi, corre verso il più vicino – Devon – appena in tempo per vederlo scuotersi e poi sollevare il viso sporco, l’espressione disorientata e piena di spavento – lo aiuta ad alzarsi prima di passare al prossimo, ogni suono ovattato alle sue orecchie, ogni parola terrorizzata che i bambini gli rivolgono muta ai suoi sensi. Li risolleva uno per uno, Morgwais, e poi Rozbenn, ripassando i nomi di ogni Sovrano della Schiera quando li vede muoversi ancora, ammaccati ma vivi, grazie al cielo. Mun gli trema fra le braccia, alzandosi a fatica, con un occhio chiuso ed un rigolo di sangue che gli scivola lungo la guancia nera di polvere, e solo dopo averlo aiutato, dopo averlo spinto con urgenza verso gli altri tre, Suraj si accorge che c’è qualcosa di sbagliato – qualcosa che manca.
Tenetevi per mano, qualunque cosa accada.
Si volta, e quando incrocia gli occhi del piccolo Mun glielo legge immediatamente negli occhi, nel terrore che avvampa nelle sue pupille grigie – nelle sue mani piccole e tremanti, orfane.
Quando si gira di nuovo scorge finalmente, ruzzolato più lontano di tutti gli altri, il corpo di Nyx – sottile, disteso a terra con il viso dipinto di sangue scuro, le braccia riversate contro il pavimento ed il capo appoggiato a terra, due occhi grandi e chiari che lo fissano ricolmi di terrore mentre un manipolo di guardie accorre poco dietro di lei, bruciando in fretta le distanze.
La realizzazione lo colpisce immediatamente, brutale, violenta, ingiusta - è troppo lontana per essere salvata.
Suraj urla talmente forte che giurerebbe di poter sentire le corde vocali lacerarsi da un momento all’altro, eppure nessun suono raggiunge i suoi timpani. La decisione è immediata, ma non per questo la fitta che gli scava il petto fa meno male – si volta pronto a correre, ma mentre lo fa un corpo piccolo saetta all’estremo del suo campo visivo. Non ha nemmeno bisogno di fermarsi a guardare per sapere che è quello di Mun. Con un nodo alla gola e lacrime che gli bruciano negli occhi, allunga le braccia per afferrare le spalle sottili e tremanti del bambino, lo sente dimenarsi nella sua stretta, senza forza ma carico di rabbia e dolore e paura, e lo capisce, davvero, lo capisce, perché lui meglio di chiunque altro sa cosa vuol dire voltare le spalle coscienti di non avere occasione di dire addio a coloro che ama di più al mondo, eppure non può lasciarlo morire, non anche lui, non di nuovo.
Solleva gli occhi un’ultima volta, e nel farlo sa che lo sguardo stremato e l’espressione terrorizzata e confusa di Nyx, distesa a terra fra la vita e la morte e forse qualcosa di peggio, lo perseguiteranno per il resto della sua esistenza. Se la imprime sul cuore come una condanna, quest’immagine, e nel momento in cui solleva il corpo agitato e sottile di Mun da terra, stringendoselo addosso senza fatica nonostante il suo dimenarsi rabbioso e disperato – anche nel momento in cui e denti del bambino gli scavano la pelle e le sue unghie lo graffiano ovunque, bisognose di liberarsi dalla sua stretta, Suraj non distoglie lo sguardo e con gli occhi distrutti e pieni di lacrime, silenziosamente, chiede scusa a Nyx per l’ultima volta, per nulla sicuro di meritarsi perdono.
Si gira e urla, urla più che può fino a quando la gola inizia a bruciare, e poi continua a urlare come se il solo tuonare della sua voce, la sola forza della sua rabbia e del suo dolore, potessero salvarli da questa situazione infame. Vede Devon guardarsi attorno spaesato, poi guardare lui e capire. Lo vede schiudere le labbra tremanti e perdere lacrime copiose lungo le guance mentre urlando si carica Rozbenn in braccio ed inizia a correre, seguito da Morgwais.
Corrono per un tempo che sembra infinito, che perde ogni senso quando tutto quello che Suraj sente, mentre fugge senza sapere davvero dove andare, sono i pugni piccoli e deboli di Mun che gli picchiano contro il petto, senza mai smettere, senza mai stancarsi di piangere. Non gli basterà una vita intera per chiedere perdono a questo bambino né agli altri tre che stanno correndo stremati dietro di lui – non per quello che hanno dovuto subire, non per quello da cui li ha fatti scappare, non per le torture da cui li ha voluto strappare, e non di certo per quello che hanno dovuto vedere quest’oggi.
E forse, chissà, non gli rimane poi così tanto da vivere.
Almeno loro, però, ha giurato di salvarli, e cascasse il mondo, dovesse anche guardare questa città cadere e rompersi in mille pezzi, questi bambini avranno una vita fuori di qui, la libertà di scegliere, la forza di lottare e di riprendersi tutto quello che gli è stato strappato via, se lo vorranno.
Quando varcano le porte della Radice, Mun non piange più e gli altri bambini lo seguono in silenzio per mano, a testa bassa.
Un giorno ricorderanno, e potranno comprendere, forse, la scelta più difficile. Suraj può solo sperare mentre asporta con precisione chirurgica ricordi e sensazioni, mentre plasma la loro mente, la loro nuova vita – una vita senza passato, e per questo libera.