picavasnormandy: (hinata)
[personal profile] picavasnormandy
Fandom: Free!
Personaggi: Makoto, child!Sousuke
Avvertimenti: AU (in cui Sousuke è bimbo e Makoto è Makoto)
Rating: SAFE
Genere: fluff(?)
Wordcount: 1327
Cosa sto per leggere: Sousuke ha un pessimo senso dell'orientamento, ma a suo favore ha il fatto di essere un bambino tanto tsundere e tanto tenero.
Scritta per la prima settimana delle Badwrong Weeks di [livejournal.com profile] maridichallenge.


“Tutto a posto?”
Sousuke sobbalza, e mentre si gira si dimentica di non digrignare i denti. Un ragazzo lo sta fissando; ha i capelli chiari, uno strano sorriso e le mani impuntate ai fianchi, ed è talmente alto da costringerlo a tirare indietro il collo per poter ricambiare lo sguardo. Stringe le labbra ed aggrotta la fronte, ma subito gli viene in mente Rin che gli dice sempre che fa paura quando è accigliato, quindi solleva il mento e tira in fuori il petto, prende aria e, “Non parlo con gli sconosciuti.”
Il ragazzo rimane a guardarlo per un attimo, il capo appena inclinato di lato, le labbra che si dividono e gli occhi dipinti di sincera sorpresa, prima di lasciarsi andare in una risata silenziosa, discreta. Lascia scivolare le mani lungo i fianchi e si piega sulle ginocchia, abbassandosi alla sua stessa altezza. Sousuke fa un passo indietro, per cautela, e mentre lo guarda si dice che non gli importa se gli farà paura o meno – anzi, meglio così. Eppure il ragazzo non smette di sorridergli e, dopo attimi di silenzio, allunga una mano e gliela porge. “Mi chiamo Makoto.”
Sousuke indietreggia ancora, e questa volta la fronte la aggrotta davvero. “Non prendermi in giro”, gli dice.
Per un attimo il ragazzo sembra incerto, le dita che si arricciano appena, la mano ancora a mezz’aria, ma in qualche modo distratta. “Non ti sto prendendo in giro.”
“Si invece”, ribatte Sousuke, incrociando le braccia al petto. “Mi stai dicendo il tuo nome, così poi non siamo più sconosciuti, come si fa con i bambini.” Mentre parla un mezzo sorriso fa capolino sulle labbra dell’altro, facendolo infuriare ancora di più. “Be’, io non sono un bambino, e comunque non ti conosco”, alza di poco la voce, per fargli capire che fa sul serio. Makoto ritira la mano; lui, invece, sembra divertito.
“Va bene, uhm, Sousuke?”
“… come fai a saperlo?”
L’altro allunga di nuovo la mano, indicando il borsone sportivo che gli pende dalla spalle. “C’è scritto proprio lì”, sorride. Sousuke nasconde in fretta e furia la targhetta con il suo nome sotto un braccio, guardandolo, se possibile, ancora più storto. Makoto, però, non demorde affatto – che Rin gli abbia mentito, sul fatto che fa paura? Eppure Rin non gli dice mai bugie, gliel’ha promesso, è questo che fanno i migliori amici. “Ti ho visto gironzolare confuso e ho pensato che ti fossi perso. Sicuro che vada tutto bene?”
“Sicurissimo. Non mi sono perso”, insiste.
Makoto sospira. Sembra avere una pazienza infinita, questo glielo deve concedere, e il suo sorriso è così diverso da quello di Rin, più piccolo, meno avventato.
“Come vuoi. Allora dove stai andando, Sousuke?”
Sousuke si guarda attorno, il labbro intrappolato distrattamente fra i denti, poi torna a rivolgersi a Makoto. “Sto tornando a casa.”
“Vieni da scuola? Fai sport?”
Annuisce.
“Che cosa fai?”
“Nuoto”, abbozza, timido.
Il sorriso di Makoto si allarga, non sembra nemmeno vero. “Davvero? Perché lo dici così? Il nuoto è un bellissimo sport.”
“I miei compagni dicono che è da femmine, e che siccome sono alto dovrei fare basket. Ma te cosa ne sai del nuoto?”
“Anche io ero iscritto al club di nuoto della mia scuola. Adesso insegno ai bambini come te”, sorride, ma Sousuke sbuffa – e dire che stava quasi iniziando a stargli simpatico.
“Non sono un bambino”, sbotta.
“Ah, scusa, scusa, hai ragione”, gli sfugge una risata. Poi, senza che Sousuke possa farci niente, senza che possa scansarsi o bloccarlo, Makoto allunga una mano e gli scompiglia i capelli, il suono leggero e discreto del suo sorriso che ancora si perde nell’aria. Sousuke quasi si accartoccia su se stesso, come un gatto che non vuole farsi accarezzare – se potesse gli soffierebbe, e comunque torna a guardarlo male. “Sei alto, è vero”, dice Makoto, come se non si fosse accorto di niente. “Forse sei più alto di me alla tua età.”
Sousuke alza le spalle e mugugna qualcosa, un verso, poi, a denti stretti, si fa forza e gli chiede, “Che stile nuoti?”
Makoto sembra quasi sorpreso, all’inizio. “Io? Dorso. E’ l’unico stile che riuscivo a nuotare da bambino, quindi ho continuato con quello. Tu?”
“Farfalla”, mugugna. “E ogni tanto stile libero.”
“Mh. Ti deve piacere tanto il nuoto, se non ti importa che i tuoi compagni ti prendano in giro.”
Scrolla le spalle di nuovo, allungando lo sguardo altrove. “Lo faccio perché il mio migliore amico voleva assolutamente iscriversi al club di nuoto. Io volevo giocare a cal – ehi! Che c’è? Perché ridi adesso?!”
“Niente”, Makoto si porta una mano di fronte al viso, quasi volesse nascondere la propria risata. “Niente, scusa, mi hai ricordato una persona.”
Sousuke mette il broncio. “Non è carino ridere alle spalle degli altri.”
“Hai ragione. Chiedo umilmente scusa”, eppure Makoto continua a ridere quando abbassa il capo di fronte a lui. Sousuke sente la punta delle orecchie farsi bollente, ma decide di non pensarci.
“Allora”, riprende Makoto. “Da che parte devi andare?”
“Uhm, i-io –“, è in panico, all’improvviso. Si guarda attorno, si volta, lo sguardo sfugge in ogni direzione ma ovviamente non ha idea di dove sia finito o di quale sia la strada giusta per casa. Rin lo prenderebbe in giro per un settimana intera, se lo vedesse adesso. “Da quella… parte. Credo”, stringe le labbra, stringe le spalle, eppure non indica nessuna direzione in particolare. Quando si volta di nuovo verso Makoto, lo vede sospirare.
“Sei sicuro di sapere dove andare?”, gli domanda lui, vagamente preoccupato, adesso.
Sousuke schiude la bocca, abbassa gli occhi, e mugugna poche parole, a bassa voce.
“Cosa?”, Makoto si sporge appena in avanti.
Sousuke non solleva gli occhi, semplicemente si sforza di alzare la voce, quando ripete, “Mi sono perso.”
Si aspetta quasi di sentirlo ridere di nuovo, perché, insomma, Makoto è grande, e come tutti i grandi di sicuro si divertirà a prendersi gioco dei bambini e a considerarli degli stupidi – eppure no, nessuna risata, nessuna presa in giro, niente di niente. Al contrario, sente di nuovo la sua mano grande posarglisi sulla testa, questa volta per rimanere lì, immobile, leggera e in qualche modo rassicurante, accompagnata dalla sua voce. “Non c’è problema, Sousuke. Sono in pausa, dimmi dove abiti e ti accompagno a casa.”
Makoto non è come gli altri adulti. Non gli fa venir voglia di tirargli un calcio sulle caviglie e poi scappare a gambe levate, non gli fa venir voglia di tapparsi le orecchie. Makoto ha mani e un sorriso grande, come il suo cuore, probabilmente. Rin riderebbe di lui fino alla fine del mondo. Si sente arrossire le guance, e allora stringe le dita attorno alla tracolla della borsa fino a farle sbiancare, e forse Makoto se ne accorge perché ritira la mano dal suo capo, lentamente, quasi con cautela.
“Non fa niente”, mugugna Sousuke, gli occhi ancora puntati per terra.
“Come hai detto?”
“Non fa niente, mi sono appena ricordato la strada.”
Ma è una bugia, non si è ricordato proprio nulla. Gli va così, questa sera. Raccoglie tutto il coraggio che ha in corpo e solleva il mento, punta gli occhi in quelli di Makoto con lo sguardo più inferocito che riesca a mettere su, cercando di nascondere come riesce il rossore sulle guance. “Non ho bisogno del tuo aiuto”, alza la voce, ma nemmeno di tanto – di sicuro meno di quanto avrebbe voluto. Invece, si sporge in avanti, senza chiedere permesso, si alza sulle punte e gli lascia un bacio sulla guancia, piccolo e veloce, un po’ arrabbiato, un po’ grato. Poi si volta e scappa via.
Non fa nemmeno in tempo a vedere Makoto spalancare gli occhi e poi perdersi in un sorriso. Ma cosa gli importa, dopotutto? Con il suo senso dell’orientamento si perderà altre mille volte. Di sicuro, un giorno, ritroverà anche la strada per Makoto e potrà dirgli che è stato uno stupido a credere che avesse bisogno dell’aiuto di un adulto.


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